Le maschere di Venezia

Sabato 8 febbraio è finalmente iniziato il Carnevale di Venezia e la città sull'acqua, che tutti noi amiamo, si è riempita di divertenti e coloratissime maschere (anche un pò ingombranti, se vi è mai capitato di prendere il treno in questo periodo...). Per questa ragione, anche se il Carnevale della Marca Trevigiana ha già fatto il suo debutto nelle scorse domeniche, lasciate che vi racconti un pò la storia di quello veneziano perché, ciò che noi viviamo come una semplice occasione di svago sopratutto per i più piccoli, è in realtà un'antica e importante tradizione.

Prima di tutto vi chiedo: perché s'indossa una maschera? Quali sono le ragioni che spingono gli abitanti di una comunità a "travestirsi"? Gli studi umanistici che hanno accompagnato la mia carriera universitaria mi impongo di ricercare una risposta nel teatro greco: lì, per esempio, lo scopo era quello di fissare i tratti caratteriali di un personaggio, creando degli stereotipi ben precisi, che fossero immediatamente riconoscibili da parte del pubblico.
Oppure ancora, pensando all'antico Egitto, la maschera poteva avere una funzione sacrale, ed essere quindi riprodotta sui sarcofagi per restituire un'immagine ai defunti, consentendogli di godere della vita eterna nell'aldilà.
Ma, forse, l'uso più evidente e immediato è sopratutto quello di nascondere l'identità di chi la indossa, consentendo in questo modo a chiunque di essere - almeno per breve tempo - ciò che non è.

Tutti questi diversi aspetti hanno caratterizzato la nascita del Carnevale di Venezia. Pensate che, in veste di "divertimento pubblico", compare tra i documenti ufficiali già alla fine del XII secolo con il doge Vitale Falier, anche se solo un secolo dopo il Senato della Repubblica ne sancì la festività. E fu così che nacque ufficialmente il Carnevale, frutto di una tradizione millenaria che aveva trovato nei Saturnali e nelle feste dionisiache la sua massima espressione. 
Esprimendo quindi la rinascita alla vita, dopo il lungo periodo di privazione invernale, il Carnevale divenne presto l'occasione per abbandonarsi ai piaceri del cibo e della trasgressione: sotto la protezione della maschera, il popolo si prendeva gioco dei nobili o ne vestiva i panni; mentre preti e monache, costretti nei loro abiti talari, infrangevano i voti da loro presi, sopratutto quello di castità.
Solamente alle donne "di mestiere" era vietato l'uso della maschera: sarebbero state infatti costrette al pagamento di una multa salatissima, e ad una pubblica pena corporale. 

Il Carnevale di Venezia, poi - a differenza di quello di oggi - durava praticamente per tutto il periodo invernale, ovvero da Santo Stefano (cioè il 26 dicembre) fino al Martedì Grasso. E, addirittura, se l'etichetta dell'evento o della cerimonia lo richiedeva, ci si poteva vestire in maschera anche durante i mesi estivi; ma non mancava neppure chi - nel gioco d'azzardo del Ridotto - la indossava per non farsi riconoscere.

Così come Pulcinella costituisce la maschera campana per antonomasia, o Arlecchino quella di Bergamo, anche Venezia ha i suoi costumi tipici del Carnevale. Il più tipico è la bauta, ed è composta da un cappello nero a tricorno e dalla cosiddetta larva, ovvero la maschera di colore bianco. Il travestimento era poi completato da un lungo mantello, chiamato "tabarro", di colore nero, bianco o rosso, e spesso ornato di frange e fiocchi. Era indossato sia dalle donne che dagli uomini.

La bauta veneziana

Un'altra maschera classica era il "medico della peste", indossata inizialmente per proteggersi dalle malattie, grazie al filtro posto nel lungo naso, che conteneva erbe aromatiche e sali.

Il "medico delle peste"

Per quanto riguarda le donne, invece, si parla della maschera detta "servetta muta" o "moretta": questa consisteva in una piccola maschera in velluto nero, di forma ovale, e di origine francese. Se vi state chiedendo da cosa derivi il nome di questo travestimento, sappiate che chi la indossava non poteva parlare: in mancanza di un elastico da annodare dietro la testa, la maschera si reggeva tenendo in bocca un piccole bottone posto all'interno. 

Felice Boscarati, "La moretta"

Le donne di estrazione inferiore si divertivano durante il carnevale indossando lo Zendà. Lo zendale (o zendà) era composto da una lunga stola di colore bianco o nero, o da una corta mantellina. Le più giovani, in dialetto veneziano "fie", lo portavano generalmente bianco e, proprio per questo, veniva chiamato "nizioleto" o "fazzuol".
Se, invece, una fanciulla voleva passare inosservata celando quanto più possibile la propria identità, la scelta non poteva che ricadere sul domino, ovvero un travestimento - nato come caricatura dell'abito dei prelati - costituito da un ampio cappello con cappuccio. 

Non possiamo infine non citare la gnaga, maschera prettamente maschile, che gli uomini indossavano per impersonare una donna: il travestimento perfetto prevedeva una maschera col muso di gatta, che l'uomo metteva in risalto emettendo un continuo miagolio, e un cestello tenuto al braccio.

La gnaga, maschera veneziana



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